Di palo in frasca

Un paio di settimane fa parlavo di fumetti e di collezionisti, evidentemente è periodo visto che è stato battuto l’altro giorno il record mondiale per l’acquisto di un singolo numero, il nr 27 della collana americana Detective Comics del maggio 1939 contenente la prima apparizione di Batman, frutto della fantasia di Bob Kane e Bill Finger. Un milione e settantacinquemila dollari la cifra sborsata, che supera il milione pagato tre giorni prima per il numero 1 di Action Comics del giugno 1938 contenente la prima storia di Superman degli autori Jerry Siegel e Joe Shuster, e surclassa il precedente record appartenente sempre alla prima storia dell’Uomo d’Acciao ma pagato “appena” 317.000 dollari.
Chi siano gli acquirenti non è dato sapere, visto che sono protetti dall’ anonimato come i venditori del resto, ma è certo gente che non ha bisogno di soldi data la natura dell’acquisto, comunque sempre lontana dai 74,2 milioni di euro pagati a inizio di febbraio per una scultura di Giacometti, L’Uomo che Cammina, che è oggi l’opera d’arte più pagata al mondo.
Chi lo sa, magari è stato Nicholas Cage che si è riavuto dai recenti disastri finanziari (pare che non navigasse in buone acque) e ha ripreso a collezionare fumetti dopo che nel 2002 era stato costretto a disfarsene per raggranellare la modica cifra di 1,6 milioni di dollari. O forse è qualcuno tipo Samuel L. Jackson in Unbreakable, che non era malaccio come fumettone cinematografico. Più probabilmente non lo sapremo mai, come non sapremo mai i pensieri di chi ha compiuto gli acquisti, e questo un po’ mi spiace.
Ora, c’è da dire una cosa, conosco cosa si prova ad avere in mano un numero raro. Per esempio un numero di Tex originale spillato non censurato e chi più ne ha più ne metta è diverso in tutti i sensi dalle ristampe successive, diversa la carta, diverso il formato, leggermente più grande, diverso l’odore e il peso. Averlo tra le dita provoca una strana sensazione, un misto di fanciullesca gioia e di soddisfazione egoistica, senza contare la sensazione tattile del solo toccare l’oggetto. Ma parliamo comunque di un fumetto che al massimo raggiunge la quotazione di qualche centinaio di euro, magari pure poche migliaia, e anche se la preoccupazione nel maneggiarlo è comunque alta non impedisce, con le dovute accortezze, di leggerlo e di visionarlo quanto si vuole.
Ma di una roba che hai pagato un milione di dollari, che cacchio te ne fai?
Impensabile mettersi a leggerlo come potremmo fare noi con qualsiasi altro giornaletto: rischi che ti si sgretoli tra le mani, che l’acido della pelle rovini la carta, che l’aria stessa la rovini e quindi, magari dopo una rapida occhiata al tutto, sei obbligato a sigillarlo e a tenerlo sotto teca, se non in cassaforte. Oltretutto, vista la cifra sborsata, non puoi manco vantarti apertamente di possederlo, altrimenti non si capisce l’anonimato della transazione. Insomma qua diventa davvero materia per psicologi e analisti.
Certo ci sono problemi più gravi, direte voi, ma a pensarci bene uno che sborsa milioni per accaparrarsi un fumetto non è molto diverso da chi si accaparra altre cose. Metti che invece di trovare godimento dal possesso di un giornaletto uno lo trovi nel possedere libri, o dischi, o video, o telefonini, o case, o case editrici, o televisioni, o catene di negozi, o banche, o istituti di credito, o semplice potere, o persino persone, o tutte queste cose messe assieme: non cambia poi molto, alla fine è solo senso del possesso, che fù certo prealessandrino ma che continua tuttora, in chiunque. E se sei legato a tutte queste cose, materiali, tanto da diventare poi quelle cose, perchè senza quelle non vivi bene, che razza di valore puoi mai dare alle persone in se stesse, se alla fine diventiamo ciò che possediamo? Che evoluzione ci può essere e che speranza in un uomo nuovo, se prima non ci si libera del desiderio di possedere sempre più beni e sempre più cose?
Uhmm…. devo smetterla di scrivere per associazioni di idee: tu guarda dove si arriva da un semplice fumetto. E poi dicono che non insegnano nulla.

Meglio tardi che mai

Da quando non ho più la possibilità di ascoltare la radio al lavoro sono rimasto un po’ fuori dalle novità musicali, novità per me ovviamente, e rimedio pescando qua e là da blog e siti vari, ma a volte anche uno spot pubblicitario stupido come quello del Pupone con la sua svampita consorte riesce a spingermi ad andare sul Tubo per fare una ricerca.
Dalle sonorità del pezzo cercato, molto anni sessanta anche se la chitarra sul ritornello mi suonava un po’ troppo dura per l’epoca, pensavo di trovare qualcosa di vecchio, non Diana Ross e le Supremes, che hanno una voce inconfondibile, piuttosto qualcosa tipo le Ronettes, quelle di questo brano qui, poi ripreso e migliorato dai Ramones (anche i duri hanno un cuore!), oppure le Crystals di questo brano che mi richiama inevitabilmente questa scena.
Invece mi ritrovo in cuffia i Noisettes, gruppo inglese che avevo già casualmente ascoltato tempo addietro ma che non mi avevano particolarmente impressionato. Ma forse è solo perchè l’altra volta non avevo visto la loro cantante e bassista Shingai Shoniwa.

Noisettes – Never Forget You

Elio E Le Storie Tese – Italia Amore Mio (live a Parla con me)

Tempi cupi

Viviamo tempi cupi. Sotto casa c’è una processione giornaliera di gente che rovista nei cassonetti dell’immondizia, alla ricerca di chissà che da rivendere, spero non da mangiare. A poca distanza lavavetri insistenti ricevono insulti e dinieghi e, stazionati davanti a un supermercato, due rivenditori di fazzoletti e paccottiglia aprono la porta a chi sta uscendo con le sporte della spesa. Educatamente salutano e attendono che gli lasci qualcosa, a volte va bene, a volte male.
Intanto gli annunci di lavoro sono sempre di meno e sempre più esigenti, manca poco che per un posto da facchino ti richiedano una laurea in Logistica dei Trasporti e rido amaro, quando in fase di colloquio leccapiedi incravattati mi glorificano la Ditta, manco fosse loro: pensare con la Ditta, ragionare per la Ditta, diventare parte integrante della Ditta, vivere la Ditta, cazzo: la Ditta!
E poi sentire frasi idiote tipo “perchè la crisi è un’opportunità!”, parole assurde come competitività e flessibilità, che in ultima analisi si traducono con mobilità e precarietà, e vedere i soliti noti cercare scappatoie per facili ricchezze svendendo quel poco di umano che ancora gli rimane. Viviamo tempi cupi e io provo distacco nel sentire i soliti discorsi di chi dovrebbe cercare di schiarirli, e sfiducia ormai in tutti coloro che hanno perso la strada anni fa e ancora faticano a ritrovarla, gente di sinistra che non sa più cos’è la sinistra.
Eppure sarebbe semplice, basterebbe guardare il fiume di merda che sta lentamente scorrendo a sommergere quella che per poco è stata una nazione e dire un no secco definitivo e duraturo, ergersi al di sopra di quella merda invece di restarne affascinati, elevarsi, e indicare la strada forte e chiaro. Invece no, garantisti, possibilisti, pronti al dialogo (con chi? perchè?), intrallazzati e preoccupati del poco come e forse più degli altri. Incapaci, alla fine, e a noi, che non abbiamo voce in capitolo, che sappiamo cosa vorremmo e a cosa aspiriamo, che pensiamo che in fondo basterebbe un niente, in tutto questo disastro tocca solo stare a guardare lo schifo che scorre. Come in riva a un fiume, ad aspettare che insieme al resto passi il cadavere del nemico.

Groove Armada – At the river (live)

Il Collezionista

In un’altra vita ho gestito da proprietario un negozio. Era un bel negozio, almeno a me piaceva, e vendevo, come mi capitava di pensare, roba inutile all’atto pratico ma utilissima per l’anima. Comprare fumetti a cosa ti serve, se non a farti bene all’anima, a ricollegare quella parte di te che vuole non pensare alle brutture, a mantenere vivo quell’io che vuole sognare e che si rifiuta di crescere, quella parte che vuole a tutti i costi rimanere adolescente, costi quel che costi?
Io li vendevo e contemporaneamente me ne cibavo. Era una figata assoluta, il più bel lavoro del mondo, durato poco, solo tre anni, ma ne è valsa la pena. Ho avuto tra le mani un sacco di bella roba, ho conosciuto un sacco di bella gente, era quasi tutta bella gente, e parecchi di loro vecchi clienti ancora li ho come amici. Sono stato fortunato in fondo.
C’era però una categoria di clienti, i collezionisti, che non potevo soffrire. Lo sono stato anch’io un collezionista forse, geloso come pochi dei miei “pezzi”, ma ero molto giovane e per superare le insicurezze ci si aggrappa a qualsiasi cosa, poi però sono cresciuto e guarito, per fortuna!
Il Collezionista è quello che quando compra qualcosa è capace di esaminare l’oggetto delle sue mire per interi quarti d’ora, è attento a ogni leggerissima piega o graffio o sbavatura e gira e rigira tra le mani quello che agogna in maniera compulsiva, combattuto tra il desiderio di possederlo e la ricerca di un motivo che lo faccia desistere dall’affrontare la spesa, anche minima, perchè il Collezionista è talmente tirchio da far impallidire Arpagone, Ebenezer Scrooge e Zio Paperone messi assieme.
E’ quello che assilla il povero venditore di domande relative all’oggetto, che si informa di tutto quello che lo riguarda, che conosce vita morte e miracoli di chi lo ha scritto sceneggiato disegnato, ma più che altro sa tutto della storia editoriale del bene agognato. Per il Collezionista non è importante il contenuto di ciò che compra, se è una bella storia o se è disegnata bene, è importante l’oggetto in sè, la sua forma, che deve essere immacolata, del contenuto non gli importa una mazza, l’importante è che il pezzo sia raro e più integro possibile.
E’ un pazzo in definitiva, schiavo della sua ricerca di perfezione, e ne ho visti parecchi, venire più e più volte a visionare qualche pezzo raro, stazionare in prossimità di esso valutando il caso di acquistarlo o meno. Considerato che non mi è mai capitato, purtroppo, di avere in casa il primo numero di Tex Gigante Seconda Serie Spillato Edizione 1958 Aut 478 Non Censurato in condizioni da edicola, che magari può pure valere qualcosa, ma al massimo qualche numero uno originale di Dylan Dog o di Martin Mystéré (vabbeh pure qualche Piccolo Ranger basso numero, qualcosa di Pratt, delle splendide serie di Principe Valiant dei Fratelli Spada e di Tarzan della Cenisio), e quindi i prezzi erano piuttosto contenuti, non si capiva il motivo di tanta indecisione. Lascio da parte quelli che compravano due numeri dello stesso albo appena uscito di cui uno ad uso lettura e l’altro ad uso collezione, che comunque un piacere me lo facevano contando per due: non li capivo allora e non li capisco manco oggi ma, a nome di chi vende, grazie di esistere!
Oggi vendo per arrotondare fumetti sulla nota piattaforma di aste on line e ogni tanto qualche Collezionista mi ricapita. Come quello che per un fumetto dall’esorbitante cifra di 1,99 euro mi ha scritto quattro volte tra domande e raccomandazioni sulla cura della spedizione e, dopo che la merce è già partita da un pezzo, siccome non è indirizzata direttamente a lui ma ad altri, mi richiede nuovamente notizie sullo stato di conservazione del materiale!
La prossima volta a uno così, appena lo riconosco, giuro che glielo regalo ‘sto cacchio di fumetto!

Una buona notizia, finalmente.

A volte qualche buona notizia arriva a dire che le iniziative popolari possono ancora riuscire nell’intento di mettere un argine alla deriva di questo assurdo Paese.

La delibera di iniziativa popolare per impegnare la città a mantenere pubblici gli impianti e la gestione del servizio idrico è stata approvata l’altro giorno in Consiglio Comunale, portando alla modifica dello Statuto della Città di Torino (qui e qui). La notizia è stata rilanciata dal Blog di Beppe Grillo e da pochi altri organi di informazione. Sui grandi quotidiani non si trova neanche un rigo (almeno sulla rete, sul cartaceo non so).
Per una volta una firma messa e il freddo preso a manifestare è servito a qualcosa. Meno male.

Coerenza

L’8 novembre del 1987 mi recai a manifestare come tanti il mio dissenso sull’utilizzo dell’energia nucleare in Italia. Lo feci nella maniera permessa, ponendo una croce sull’abrogazione di tre norme in materia nucleare appunto, che se in teoria non significava dire sì o no alle centrali, di fatto era come se lo facesse, tanto che dopo il referendum la costruzione di alcune di queste in Italia venne interrotta e il progetto accantonato.
Oggi quel recarmi alle urne di 23 anni fa risulta essere stata una perdita di tempo e uno spreco di denaro pubblico, al solito. Dalle parti di Roma infatti hanno approvato con decreto i criteri per la scelta di nuovi siti per la produzione di energia elettrica nucleare e lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi da queste prodotte.
Lasciamo da parte il fatto che a me non interessa quanto siano diventate sicure oggi queste centrali, che non mi frega nulla se siano di terza quarta quinta ottava generazione, se hanno inventato nuovi sistemi per smaltire i rifiuti tossici, se hanno in progetto di spedirli sulla Luna o su Marte; lasciamo anche da parte il fatto che siamo in Italia, dove un’opera pubblica arriva a costare il triplo rispetto ad altri posti, dove le stesse opere pubbliche cascano dopo qualche anno come castelli di carte (vedasi terremoto dell’Aquila), dove è notorio il dissesto idrogeologico e ambientale: rimane che ho già detto no una volta!
Mica ho cambiato idea.

Piccoli cloni crescono

Uno sente ‘sta roba alla radio e dice “Toh, è tornato Prince!”.
Invece no, scopri che sono gli Ok Go.
Che dire, preferivo Prince.